Traguardo all’azienda La Minerva, dei fratelli Salati Chiodini (pdf)
«SENZA intelligenza, non si fa impresa», diceva nonno Mario Chiodini, fabbro e artista d’esperienza, quando nel 1945 apriva la Minerva. E nel 2015, a 70 anni di distanza, quella profezia continua a essere un elisir di lunga vita. Oggi al timone della Minerva Omega Group non c’è un solo Chiodini, ma quattro membri della famiglia – la figlia Franca (amministratore delegato) e i nipoti Elisabetta (presidente), Andrea e Daniele Salati – e le affettatrici, tritacarni e segaossi prodotti dall’azienda bolognese di via del Vetraio sono entrate nelle cucine, nei supermercati e nei negozi di mezzo mondo.
Tanto, molto è cambiato da quel 22 giugno 1945 quando i primi torni furono avviati. Ma non lo spirito dell’impresa che, dopo 70 anni, dà lavoro a una sessantina di addetti in due sedi: a Bologna, dove c’era la Minerva di Mario Chiodini e in provincia di Varese, dove era attiva la Omega Ceg di Varese prima della fusione sotto le Due Torri. «Abbiamo sempre cercato di precorrere i tempi», racconta Elisabetta Salati Chiodini che presiede il cda dell’azienda e un ufficio – il suo – animato da tre fedelissimi griffoncini di Bruxelles.
Presidente, è tutto pronto per i festeggiamenti del 70° dell’azienda?
«A dire il vero ho preferito reinvestire in azienda più che in feste, anche perché il tempo libero scarseggia. Fatturiamo 15 milioni di euro annui e da due anni abbiamo registrato una crescita del 15 per cento, quindi contiamo di assumere 4-5 persone quest’anno e altrettante l’anno successivo».
Qual è la chiave di questo successo?
«Di sicuro l’idea iniziale di mio nonno. Aveva capito che il settore dell’alimentazione su vasta scala sarebbe stato sempre più centrale e che necessitava di strumenti meccanici appositi. Poi fin dagli anni Cinquanta puntò sul mercato estero, esportando la metà della produzione».
E oggi?
«Oggi spediamo all’estero il 60 per cento dei nostri macchinari, ma per evitare di subire i contraccolpi delle vicende politiche dei singoli Paesi, abbiamo diversificato il parco clienti».
Ma alcuni sono storici, vero?
«In azienda siamo alla terza generazione di Chiodini e così è anche per i nostri clienti, perché molti dei rapporti commerciali che abbiamo si basano su relazioni tra famiglie di lunga data. Ad esempio abbiamo sempre esportato in Iran, ci andai anche nel 1978 prima della rivoluzione che ‘congelò’ gli affari. Affari che poi ripresero, come nulla fosse, anni dopo».
La gamma di prodotti che offrite è vastissima, ma qual è quello simbolo della Minerva?
«Il tritacarne. Ne abbiamo 30 versioni, soprattutto per le diversità religiose e di macellazione. Tra i vari clienti ci sono il Cremlino, il Vaticano, la casa reale dei Windsor, la Nato e l’esercito americano oltre ai negozi, le mense, la grande distribuzione organizzata».
Ci sono mercati emergenti?
«Non è proprio nuovo, ma sta prendendo piede sul passaparola una nicchia di clienti un po’ particolare, che cresce di anno in anno: gli anatomopatologi, anche stranieri. Sostengono che i nostri macchinari, come i segaossi, siano più precisi di altri».
Questo sì che è diversificare. Sul fronte delle nuove tecnologie, ci sono sorprese in arrivo?
«Mio fratello Daniele sta lavorando a un controllo da remoto, in cloud, applicabile ai nostri macchinari così che, da un semplice iPad, può essere verificato il funzionamento del prodotto in tempo reale e se vengono rispettate le
misure di sicurezza dagli operatori ».
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